Salvo Montalbano ha 55 anni e un’eterna fidanzata, Livia. Non ama guidare nel traffico, odia le cataste di documenti da firmare che si affastellano sulla scrivania, non sopporta di essere disturbato mentre mangia e fa dei bellissimi sogni a colori pieni di personaggi sproporzionatamente grandi. Ama respirare l’aria di mare dalla sua verandina, a Vigàta, apprezza la buona cucina e la compagnia delle persone schiette e per bene. Di Salvo Montalbano sappiamo tutto, persino i tratti del viso e l’espressione dello sguardo. Non è per stupire o impressionare il lettore che Andrea Camilleri architetta nuove trame con protagonista Montalbano. Lo fa, come ha dichiarato tante volte, perché non può farne a meno. Perché certi personaggi, quelli estremamente ben riusciti, a un certo punto iniziano a vivere di vita propria. A quel punto le storie non c’è bisogno di inventarle, basta solo raccontarle.
E forse è proprio questo il segreto dei grandi giallisti come Camilleri o Simenon, scrittori capaci di scrivere dei grandi capolavori in pochi mesi, di aggiungere particolari, seminare indizi, dipingere luoghi e personaggi con estrema naturalezza: quello di entrare nelle loro storie come spettatori, lasciando che i personaggi si muovano da sé. Montalbano è forse uno degli investigatori più ribelli e riottosi mai creati. Si ribella anche al suo autore, che lo vorrebbe più giusto, che vorrebbe usarlo per dare lezioni di moralità e esempi di comportamento. Ma questa volta no.
Questa volta, quasi quasi, il commissario Montalbano neanche vorrebbe trovarlo l’assassino del ragioniere Barletta. Anzi, gli dispiacerebbe proprio dover arrestare una persona che probabilmente non ha fatto altro che reagire al suo aguzzino.
Quando viene ritrovato morto con un colpo di pistola alla nuca nella sua villetta al mare, il ragioniere Barletta ha 63 anni ed è vedovo. Nella sua vita si è sempre occupato di commercio, ma la sua vera passione sono gli investimenti, le speculazioni, i ricatti ai danni di ragazzine in cambio di prestazioni sessuali e il prestito di denaro a strozzo. A volerlo morto è metà Vigàta. Compresi i suoi due figli.
“Che fai? Due pesi e due misure?”. Dice a se stesso il commissario quando si rende conto che in fondo non gli importa più di tanto di arrestare l’assassino. Anzi, gli assassini. Perché a sentire il medico legale, il suo vecchio amico Pasquano, il ragioniere è stato ucciso due volte: prima con una forte dose di veleno nel caffè e poi con un colpo di pistola. Due assassini che probabilmente hanno agito indipendentemente l’uno dall’altro? Una casualità davvero troppo strana. Così come sono strani e indecifrabili molti degli indizi che Montalbano trova durante l’indagine, forse perché viene distratto dall’avvenenza delle donne coinvolte, o dalla presenza di Livia, che ha deciso di passare qualche giorno con lui alla Marinella. La scena del delitto è confusa, Montalbano è stanco, perde di vista delle possibili prove, trascura alcune piste, pare che abbia paura di andare a rimestare nella torbida vita del ragioniere Barletta, pare che alcune cose non voglia proprio vederle.
Mentre l’estate a Vigàta persiste e si protrae oltre il suo tempo, mentre l’agonia delle stagioni si fa sempre più lunga, il commissario Montalbano aggiunge un tassello alla sua vita e una nuova triste considerazione sul concetto di colpa e di compassione. Il lettore assiste ancora una volta a questa messa in scena dolce e amara, com’è dolce e amara la maturità di un uomo, scorrendo pagine scritte nella lingua “antica” di Camilleri con la nostalgia di chi sa che anche questa stagione è al suo crepuscolo.